Non esistono più le mezze stagioni. Forse è proprio per
questo motivo che quest’anno le rose del roseto comunale di Roma ci hanno messo tanto
prima di sbocciare ed aprire i loro petali in tutta la loro bellezza e nei loro
colori sgargianti.
Il giardino (neanche troppo) segreto nel cuore della città, fra
il Circo Massimo ed il Lungotevere, alle pendici dell’Aventino e sulle rovine
del Colle Palatino lungo la strada che porta al Giardino degli Aranci, da cui è
anche possibile scorgere in lontananza i cavalli bronzei dell’Altare della
Patria, chiuderà i suoi cancelli domenica prossima, 16 giugno, lasciando che i
fiori possano dire addio a poco a poco alla loro vivacità lontano dagli occhi
di chi ama vederli così sani e curati.
Il territorio che oggi costituisce il roseto ha una storia
piuttosto travagliata e, per alcuni aspetti, anche dolorosa. Dopo essere stato
ricoperto di vigne e coltivazioni, nel 1645, il territorio diviene prima orto e
poi cimitero ebraico fino a quando, in pieno regime fascista, non fu richiesto
alla comunità ebraica di donarlo alla città di Roma. Stando al piano regolatore
che prevedeva un nuovo assetto di infrastrutture in vista del decennale della
marcia su Roma, infatti, sarebbe dovuto diventare un parco. In cambio, però,
veniva garantita alla comunità ebraica l’apertura di una nuova scuola per i
loro bambini. Il lavori partirono e i resti degli ebrei sepolti vennero
spostati nel ghetto: avendo, però, fretta di ultimare i lavori in vista del
grande evento, si decise di far lavorare gli addetti anche il sabato così da
far in modo di trasferire soltanto una minima parte dei resti del cimitero nel
ghetto e di lasciare lì, nei punti più in basso del terreno, tutti gli altri.
Era il 1934 e da quel momento in poi tutto sarebbe cambiato:
la scuola non verrà, infatti, costruita, il parco non verrà terminato e, anzi,
quello spazio verrà utilizzato come orto di guerra fino ai primi anni Cinquanta
quando, sotto il progetto della Contessa Mary Gailey Senni, una volta terminato
il conflitto mondiale, divenne sede del roseto comunale e prese la forma che
conosciamo noi adesso. Gli occhi più attenti, infatti, avranno notato che, in
onore dell’antica appartenenza ebraica, non solo vi è una targa all’ingresso, ma
anche i vialetti del roseto stesso che separano le aiuole con le rose da collezione
formano una menorah, il candelabro a sette bracci, simbolo dell'Ebraismo. Da questa
parte si trova la collezione di rose botaniche, antiche e moderne, per un
totale di 1100 esemplari alcuni dei quali provenienti persino dalla Cina e
dalla Mongolia. Nella seconda parte di roseto, al di là della via di Valle
Murcia che fa da cesura all’intero roseto, si trovano, invece, le vincitrici del premio annuale "Premio
Roma" da quando il concorso è stato istituito e tutti quelle che
partecipano durante l’anno in corso con tanto di targhetta identificativa a cui
viene aggiunta anche la posizione raggiunta nell’interno della chermes.
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